Gli interblocchi nella Direttiva Macchine: principi, tipologie e buone pratiche
La sicurezza delle macchine è fondamentale nella prevenzione degli infortuni e, a tal proposito, gli interblocchi associati ai ripari mobili rappresentano una misura tecnica essenziale, prevista dalla Direttiva Macchine 2006/42/CE, che impedisce l’accesso in presenza di condizioni pericolose.
La centralità di tali sistemi è confermata anche dal nuovo Regolamento Macchine (UE) 2023/1230, che si applicherà a partire dal 20 gennaio 2027.
Tipologie di interblocchi
Diverse sono le tipologie di interblocchi previste dalla Direttiva Macchine 2006/42/CE, che si differenziano per le loro differenti caratteristiche.
- Interblocchi senza bloccaggio del riparo: rilevano solo l’apertura/chiusura del riparo. Adatti per macchine con arresto immediato e basso rischio.
- Interblocchi con bloccaggio del riparo: bloccano fisicamente il riparo fino alla cessazione del pericolo. Indispensabili per macchine con inerzia elevata o movimenti pericolosi.
- Interblocchi codificati: tecnologie come RFID o meccanismi magnetici con codifica, impediscono la manipolazione volontaria.
- Sistemi a chiave prigioniera: impediscono l’accesso fino al completamento di una sequenza di sicurezza. Sono soluzioni meccaniche robuste e indipendenti dall’alimentazione elettrica.
Per poter scegliere correttamente l’interblocco occorre verificare il livello di rischio, l’inerzia, la frequenza di apertura, il pericolo di manipolazione e i requisiti ergonomici.
Errori comuni
- Installazione di interblocchi inadeguati al livello di rischio: non tutti gli interblocchi offrono lo stesso livello di protezione; un dispositivo non adatto potrebbe cedere in caso di malfunzionamento o tentata manomissione, esponendo l’operatore a pericoli gravi.
- Posizionamento dei dispositivi facilmente eludibile: il meccanismo di protezione deve essere intrinseco e difficile da aggirare anche intenzionalmente.
- Mancata valutazione del tempo di arresto della macchina: se un operatore può accedere alla zona pericolosa prima che il movimento sia cessato, l’interblocco perde il suo scopo protettivo.
Buone pratiche
- Uso di interblocchi codificati o a chiave: questi tipi di interblocchi offrono un livello di sicurezza superiore rispetto ai modelli più semplici. I primi richiedono un segnale specifico per essere attivati, i secondi garantiscono che l’accesso a una zona pericolosa sia possibile solo con la rimozione fisica della chiave, impedendo l’avvio della macchina.
- Progettazione che previene il bypass intenzionale: nella fase di progettazione è necessario prevedere e mitigare ogni possibile tentativo di aggirare le protezioni, rendendo il bypass difficile o impossibile.
- Verifica documentata della funzione di sicurezza: ogni funzione di sicurezza deve essere testata e la sua efficacia documentata.
- Verifica del tempo di accesso rispetto al tempo di arresto: è indispensabile che il tempo necessario a un operatore per raggiungere la zona pericolosa sia sempre superiore al tempo di arresto completo della macchina.
Conclusioni
La presenza di un interblocco su una macchina non è sufficiente a garantirne la sicurezza.
Spesso si pensa che la sola installazione basti, ma la realtà è più complessa: gli interblocchi sono elementi di sicurezza fondamentali e, se mal progettati, possono trasformarsi in punti deboli anziché in barriere efficaci.
Per questo è essenziale una stretta collaborazione tra costruttori e responsabili della sicurezza, al fine di garantire la realizzazione di ripari interbloccati non solo conformi ma realmente efficaci nella prevenzione degli incidenti.
Contributo tecnico di:
Matteo Di Francesco – Responsabile Tecnico – Agenzia Nazionale Sicurezza sul lavoro